Articolo in italiano
di Cristina Belli
“Verso la fine del 1933 cominciai ad essere ossessionata da un intenso desiderio di ritornare in India, sentendo in una strana e inesplicabile maniera che là c’era il mio destino di pittrice”. (Amrita Sher-Gil)
Sher-Gil nacque a Budapest, in Ungheria, nel 1913. I genitori si erano conosciuti in India: il padre era infatti un aristocratico di etnia Sikh, proveniente dalla regione del Punjab; invece la madre era una cantante ebrea ungherese. Amrita visse a Pest fino alla fine prima guerra mondiale, quando la famiglia si trasferì in India, a Shimla, un’ incantevole città ai piedi della catena dell’ Himalaya. A otto anni la piccola Amrita iniziò a prendere lezioni di arte, ma ben presto si rifiutò di seguire le regole formali di disegno, che il maestro le impartiva. Manifestò già allora quella sua insofferenza ai dettami altrui, che caratterizzò tutta la sua vita. Studiò anche piano e violino, tanto da arrivare a tenere concerti con la sorella Indira. Nel 1923 la madre incontrò uno scultore italiano e conseguentemente lei e Amrita si spostarono a Firenze. Qui la madre la iscrisse a una scuola, per farla appassionare al Rinascimento italiano, ma anche stavolta la ragazza si ribellò a ogni imposizione formale e volle ritornare a Shimla. In realtà, da questa esperienza, ereditò un grande amore per i maestri del Rinascimento. Nel 1926, lo zio materno, Ervin Baktay, pittore a sua volta, visitò Shimla e riconobbe subito il talento della giovane, incoraggiandola a prendere sul serio la sua arte. In questi stessi anni Amrita venne espulsa dalla scuola religiosa in cui studiava, per essersi dichiarata atea. A sedici anni , nel 1929, si trasferì a Parigi con la madre e la sorella. Il clima bohémien francese ispirò e al tempo stesso rinvigorì la sua arte, che maturò enormemente. I disegni di questo periodo sono molto sensuali, legati probabilmente alla scoperta della sessualità. Si iscrisse alla Grand Chaumière Academy, sotto l’occhio attento del pittore Pierre Valliant. Nel 1929, prese lezioni all’Ecole des Beaux Arts, sotto l’egida di Lucien Simon, con cui studierà per i successivi quattro anni. Si impegnò al contempo a imparare il francese, essendo la prima allieva indiana della prestigiosa scuola. Nel 1930, incontrò Boris Taslitzky, con cui ebbe una relazione appassionata: lei diciassette anni, lui diciannove. Rimangono oggi i dipinti in cui i due giovani si ritrassero a vicenda. Nel 1931, quando compì diciotto anni, i genitori le presentarono Yusuf Ali Khan, un giovane musulmano figlio di un proprietario terriero indiano, per farla fidanzare; ma non durò molto. Non era l’uomo per lei, nonostante la madre caldeggiasse quel fidanzamento. Rimase incinta di Khan e tuttavia abortì. In quel periodo si vociferava che avesse una relazione con la sua compagna di stanza, Marie Louise Chassanay: è evidente che Sher- Gil fosse aperta rispetto alla propria sessualità, infatti ebbe altre brevi storie, sia con uomini che con donne. Nel 1931 scrisse alla madre che sentiva di avere finalmente raggiunto un buon livello nella pittura, soprattutto ai propri occhi. Conobbe la critica d’arte Denyse Proutaux e la ritrasse diverse volte, anche con la sorella Indira; famoso è il quadro intitolato “Young girls”. Il dipinto ebbe così successo, tanto che venne associata al Grand Salon parigino; la più giovane e la prima asiatica a ricevere tale onore. In questo periodo dipinse una serie di nudi femminili in cui traspaiono la personalità e le emozioni delle donne ritratte. Nel 1934 Amrita tornò in India: l’ esperienza occidentale le aveva dato la spinta per apprezzare maggiormente l’arte indiana. Sviluppò adesso il suo stile personale che è indiano in tutto; soggetti, spirito e tecnica. “ Io posso solo dipingere in India” scriveva “l’Europa è di Picasso, Matisse, Braque e gli altri. Ma l’India è mia”. Il padre, conoscendo il forte temperamento e l’indipendenza della figlia, era preoccupato che non potesse adattarsi al tradizionalismo della società indiana. Invece, Amrita viaggia per tutto il paese, abbracciando entusiasticamente la cultura indiana e decise di vestirsi unicamente col sari; dipinse la vita delle donne indiane povere in opere malinconiche e piene di solitudine, ma molto realistiche. Sono dipinti in cui traspare tutta la dignità della figura femminile, ma senza la visione romantica della povertà, pur nobilitandola.
Nel 1937, durante un viaggio nell’India meridionale, venne colpita dai dipinti nelle caverne di Ajanta; questi ispirarono una maggiore semplicità nelle sue opere che si può osservare, ad esempio, nel quadro “Gli abitanti del villaggio del sud che vanno al mercato”. Il suo stile è ancora oggi assolutamente personale, proprio perché nato dalla fusione delle sue esperienze di vita in Ungheria, a Parigi e in India. Nel 1938 si sposò col cugino Victor Egan, ma fu un matrimonio di convenienza, tanto che lei continuerà ad avere relazioni extraconiugali, apparentemente tollerate dal marito. Alla vigilia dello scoppio della seconda guerra mondiale la coppia tornò in India, presso la casa paterna di lei. Iniziò ora a sperimentare anche soggetti animali nelle sue opere: elefanti, tigri… Alla fine del 1941 qualcosa si ruppe: si percepiscono stanchezza e noia nella sua pittura e anche nel suo matrimonio. Venne colpita dalla depressione, smise di dipingere e si ammalò gravemente, morendo il 5 dicembre 1941, a soli ventotto anni. Pettegolezzi insinuarono che fosse morta per le conseguenze di un aborto o, più verosimilmente, perché avvelenata dal marito geloso.
La sua eredità artistica è eccezionale; può essere definita la madre dell’arte moderna indiana. E’ una delle artiste orientali più significative del XX secolo, tanto che il governo indiano, fin dal 1976, ha vietato di esportare le sue opere fuori dal paese.
Per chi volesse saperne di più:
https://www.youtube.com/watch?v=LUEixUEPzPE&ab_channel=SubodhKerkar
https://www.youtube.com/watch?v=XQsbbGlfu78&ab_channel=FilmsDivision
https://www.youtube.com/watch?v=ErT7rmlHMOU