Piccolo dizionario sul narcisismo – terza puntata: gaslighting, scapegoating e no-contact

Piccolo dizionario sul narcisismo – terza puntata: gaslighting, scapegoating e no-contact

Articolo in italiano
di Cristina Belli

In questo terzo e ultimo articolo vorrei affrontare due tecniche di manipolazione messe in atto dal narcisista e il no-contact, che è invece la “tattica” più consigliata per sfuggire ai classici ritorni del narciso (ricordate che è piuttosto prevedibile e scontato che il narcisista torni, se non altro per assicurarsi che la sua vittima sia sempre a disposizione). Ma andiamo per gradi.

Il gaslighting è quindi una tattica usata per manipolare la vittima. Il nome deriva da un film del 1944, “Gas light”, un thriller psicologico che narra la storia di una giovane donna, che viene portata alla follia dal marito, che vuole  proteggere un segreto scomodo.

Il gaslighting (tradotto come “angosciare”) può arrivare a far dubitare della propria sanità mentale, di ciò che si pensa, crede o sente. La mente  della vittima viene quasi controllata dal narcisista. Come si ottiene il gaslighting? La negazione della verità è il primo modo. Ricordate che il narcisista è molto abile nel mentire? E’ quindi anche molto credibile agli occhi di chi lo ascolta.  Un secondo modo è cambiare le cose, negando che siano andate nella maniera ricordata dalla vittima. Ci sono alcune frasi che il manipolatore potrebbe usare: “Sei troppo sensibile”, “Ricordi male”, “Lo stai inventando, non l’ho mai detto”, “Sei paranoico/a” e così via. La realtà della vittima, che poi è la realtà effettiva, viene sistematicamente invalidata, in modo da indebolirla emotivamente e psichicamente. Alla fine la persona sarà così confusa da non capire lei stessa cosa è vero e cosa non lo è. Spesso anche il suo entourage viene coinvolto in vari modi: ad esempio il narcisista potrebbe insinuare in amici o parenti il dubbio che la sua vittima sia realmente instabile mentalmente. In questo modo colpisce  uno ad uno, molti dei suoi punti di riferimento affettivi, per condurla  all’isolamento. L’obiettivo finale è chiaramente demolire l’autostima della vittima, in modo da imporle una sudditanza psicologica, con lo scopo primario di ricavarne vantaggi personali.

Lo scapegoating è la seconda tecnica di insidiosa manipolazione, specie se perpetrata a livello sociale e non singolo-personale. Significa “capro espiatorio”, che è colui che riceve, suo malgrado, questa manipolazione. Chi la usa, di solito il narcisista (ma chiunque abbia un disturbo di personalità), non vuole prendersi la responsabilità di niente, tantomeno del proprio disagio esistenziale. Come funziona in pratica? Ci sono tre passi fondamentali.

Il primo, il più banale, consiste nel trovare nella persona prescelta un difetto qualsiasi che non piace al manipolatore (“il tuo difetto mi dà fastidio”); il secondo, quello chiave, consiste  nel prendere il difetto e associarlo all’identità della persona scelta (“tu mi dai fastidio”); il terzo passo, quello che chiude il cerchio, verte sull’attribuire alla vittima la responsabilità di risolvere il problema che lei stessa è diventata (“tu devi risolvere il problema che sei per me”). Ecco che la ragnatela è stata tessuta. Più si cerca di uscirne, più ci si intrappola. La vittima pensa di avere qualcosa che non va, di essere “sbagliata”. E’ una condizione che reca forte sofferenza. Oggi non è raro lo scapegoating, poiché la nostra è una società narcisistica. Viene attuato verso tutti coloro con cui non empatizziamo: le categorie sono le più svariate, a seconda dei periodi storici e dei luoghi geografici.

E’ una tecnica efficacissima, poiché è facile da usare, ma è difficile liberarsi dei suoi effetti. Quale può essere la soluzione? Intanto, bisogna partire dalla consapevolezza: capire che si è vittima di una bugia. Comprendere che non si è sbagliati, che non ci si deve vergognare. Non è tuttavia semplice, perché non è accettabile realizzare che, magari qualcuno che dice di amarci, ci tratti così. In secondo luogo, non bisogna più cercare di risolvere il problema (cioè il comportamento è stato stigmatizzato dal manipolatore), perché questo ci farà sentire ancora più inadeguati. La terza mossa è andare alla radice dei  traumi; mi spiego meglio: se siete stati resi capro espiatorio da adulti (e vi è capitato più di una volta), potrebbe essere che lo siate stati da piccoli. Allora è necessario curare i traumi del valore di sé (la scarsa autostima) per creare relazioni sane, cioè basate su fiducia ed empatia. Ricordate che qualsiasi cosa ci succede, avviene perché è necessaria per la nostra evoluzione, la nostra crescita umana. Il narcisista che abbiamo incontrato è colui che illumina un angolo buio della nostra personalità; un angolo che aveva bisogno di essere portato alla luce per guarire. Il narcisista ci fa il favore (inconsapevole) di farci da specchio!

Infine affrontiamo il no-contact. Come vi ho già detto il narcisista torna sempre. Magari dopo poco, oppure dopo molto tempo. Sarà comunque mosso dal suo bisogno di approvvigionamento narcisistico: bisogno di conferme, di sapere che non è stato dimenticato. Raramente, nel frattempo, avrà fatto un’autoanalisi o avrà ripensato al male che vi ha fatto. Infatti si ripresenterà con un semplice messaggio, tipo “Ciao, come stai?”, come se non fosse successo niente, come se vi foste salutati il giorno prima. L’augurio è che nel tempo intercorso voi abbiate potuto iniziare ad essere consapevoli della vostra ferita, cioè del motivo che vi ha legati a lui.

Il no-contact consiste nel tagliare completamente i ponti, in maniera irreversibile col manipolatore; chiudere tutti i contatti social, telefonici e così via. Questo è molto valido, ma vanno fatte delle piccole precisazioni. Quando si parla di no-contact, infatti, spesso viene descritto in maniera semplicistica. La persona che è in una relazione con un abusatore,  viene “forzata” a tagliare tutti i contatti, magari prima che sia pronta, e soprattutto senza prendere in considerazione il problema che è alla base. Cosa significa? Dovete essere realmente pronti a farlo; chiudete sì, ma con morbidezza e consapevolezza. Attenzione: morbidezza verso voi stessi! Siate in ascolto, abbiate compassione della vostra natura umana, che è flessibile e in cambiamento continuo. Il no-contact senza consapevolezza, senza lavoro su di sé, non è la soluzione universale. Inoltre se fatto senza essere pronti è una forma di resistenza, di evitamento, che coinvolge molta energia e che vi focalizza paradossalmente su ciò che volete allontanare. In altre parole, non avere contatti e poi pensare continuamente alla persona, può essere in parte utile, ma non certo risolutivo. Quindi il vostro percorso deve essere naturale, fatto di accoglienza e rispetto verso voi stessi; di conseguenza nascerà un vero distacco “naturale” da ciò che vi ha fatto male. Un’ultima cosa: i percorsi sono fatti di tappe, di vicoli ciechi, di ricadute, di strade sbagliate: abbiate pazienza con voi stessi e… camminate con gli occhi aperti.

Buon percorso!

Per chi volesse leggere gli articoli precedenti, questi i link:

Piccolo dizionario sul narcisismo – prima puntata: il narcisista overt e covert

 

Piccolo dizionario sul narcisismo – seconda puntata: love bombing, svalutazione e scarto

 

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